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Noduli della tiroide, le diagnosi sono in aumento

Noduli della tiroide, le diagnosi sono in aumento
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Le malattie della tiroide sono piuttosto diffuse e, per una serie di motivi, negli ultimi anni è aumentato il numero delle diagnosi di noduli della tiroide. Non solo: le malattie della tiroide sono tantissime, e per molte non sono ancora state individuate le cause.

Nella precedente puntata, il dottor Daniele Cappellani, specializzato in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo e medico in questa specialità nell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, con studio in Montallegro, ha parlato di patologia autoimmune, di ipertirodidismo e di ipotiroidismo.

Questa volta approfondiamo altre malattie di questa ghiandola.

I noduli della tiroide

«I noduli della tiroide sono piuttosto frequenti, potendo interessare dal 20 al 60% della popolazione generale laddove si ricerchino usando l’ecografia del collo, chiaramente con differenze a seconda dell’età – l’incidenza aumenta andando avanti con gli anni – e del sesso, perché in genere le donne sono più colpite degli uomini, sebbene sia sbagliato pensare che si tratti di una patologia esclusivamente femminile.

È difficile che un nodulo tiroideo dia segno clinico di sé: il più spesso si tratta di noduli di dimensioni piccole, che vengono rilevati incidentalmente in corso di esami fatti per altri motivi. Certo, se il nodulo raggiunge dimensioni maggiori, può presentarsi come una massa palpabile a livello del collo, oppure può addirittura arrivare a dare una sintomatologia compressiva sulle strutture circostanti. Oppure quando il nodulo inizia a produrre ormoni tiroidei in eccesso, per cui il paziente presenta una sintomatologia clinica da ipertiroidismo come quella di cui abbiamo parlato prima.

Le diagnosi sono in aumento

«Negli ultimi decenni le diagnosi di noduli della tiroide sono in aumento. Il motivo è probabilmente dovuto al fatto che, in passato, gli unici noduli che si trovavano erano quelli molto grossi, che potevano essere rilevati alla palpazione. Oggi invece metodiche come l’ecografia permettono di rilevare anche noduli decisamente piccoli. Questo è un bene? Da un lato sì, perché possiamo trovare precocemente dei noduli destinati a crescere. Chiaramente di fronte a un nodulo maligno cambierebbe molto un intervento precoce. Dall’altra parte però l’ecografia individua dei noduli di scarsa importanza clinica, che non meritano alcuna preoccupazione.

Lo specialista endocrinologo, mediante visita ed ecografia del collo, ha il compito di ricercare la presenza dei noduli e di valutare quale sia il loro rischio di malignità. Questo si fa vedendo le caratteristiche del nodulo, ma anche le caratteristiche del paziente. Quindi visita ed ecografia dovrebbero sempre esser fatte insieme, anche perché l’ecografia è una metodica che dipende molto dall’operatore che la esegue. Quindi è sempre bene che chi prende le decisioni abbia la possibilità di valutare in prima persona il quadro che ha di fronte.

Se giudica che il nodulo è sospetto, è opportuno eseguire un agoaspirato. Si tratta di un esame che consiste nel prelevare alcune cellule dal nodulo, che osservate al microscopio potranno dirci con buona verosimiglianza se quel nodulo è benigno o maligno. Sulla base del risultato dell’esame citologico si deciderà il percorso più opportuno».

Il gozzo tiroideo

Fino a qualche decina di anni fa era piuttosto comune vedere persone colpite da gozzo tiroideo. Oggi questo problema sembra diminuito. È vero? Come mai?

«Con il termine di gozzo tiroideo si intende un ingrandimento della ghiandola tiroide, che può avere le caratteristiche di maggiore uniformità (e in tal caso si parla di gozzo diffuso) oppure caratteristiche nodulari. La prevalenza di questa patologia nel nostro paese è andata cambiando nel tempo, riducendosi in parallelo al miglioramento dell’apporto di iodio con la dieta. Nel recente passato, quando soprattutto in alcune zone più geograficamente isolate l’apporto iodico era frequentemente carenziale, l’incidenza del gozzo era molto elevata. Tra queste zone ricordiamo il cuneese, la Garfagnana, le valli della Lombardia e altre zone dell’arco alpino. La carenza di iodio si traduceva in un’alta prevalenza di patologie nodulare tiroidea, di gozzo, ma anche in patologie gravissime come l’ipotiroidismo congenito e il cretinismo.

Qual è la situazione oggi?

Il progressivo cambiamento delle abitudini alimentari, ma anche l’utilizzo capillare del sale iodato hanno permesso progressivamente di migliorare l’apporto iodico nella popolazione generale. Tanto che a 15 anni dall’entrata in vigore della legge sulla profilassi iodica, quest’anno è stato finalmente dichiarato che l’Italia ha raggiunto raggiunto là iodio-sufficienza. Si tratta di una buona notizia, che va a sommarsi a quella pubblicata nel 2019 dall’OSNAMI, Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia, attivo presso l’Istituto Superiore di Sanità, che identificava come sette regioni, tra cui la Liguria, avessero raggiunto la iodiosufficienza, abbattendo l’incidenza di gozzo in età prescolare.

Purtroppo il gozzo non sta scomparendo. Studi di popolazione condotti in paesi che versano in condizioni di iodio-sufficienza da diversi decenni riportano una prevalenza del gozzo variabile tra il 3 e il 6% della popolazione generale, addirittura raggiungendo percentuali a doppia cifra se valutata mediante metodiche ecografiche. La situazione del nostro paese in questo momento è più complessa, avendo ancora in eredità i decenni precedenti di diffuso non adeguato apporto iodico.

Un consiglio?

Chiaramente da un punto di vista preventivo è buona norma l’utilizzo di sale iodato fin dalla tenera età, secondo la campagna ministeriale “poco sale, ma iodato”. Sono rari i casi in cui è relativamente controindicato l’uso di questo presidio, e devono essere identificati dall’endocrinologo. Se fosse troppo tardi e si fosse già venuto a formare un gozzo, questo deve essere inquadrato e seguito in ambito specialistico endocrinologico, ricercando la presenza di autonomia funzionale e, in caso di diversi noduli, valutando il rischio che ognuno di essi possiede».

Daniele CappellaniDaniele Cappellani

Nato alla Spezia l’11/8/1989. Laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Pisa il 23/9/2014. Abilitazione all’esercizio della professione il 5/2/2015. Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università di Pisa il 19/11/2019.
Frequenta il corso di dottorato di ricerca in Scienze cliniche e traslazionali all’Università di Pisa.
Ha frequentato corsi della Harvard Medical School di Boston (Usa) e del Sahlgrenska University Hospital di Goteborg (Svezia). Medico specialista in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo nell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa. Fa studio in Villa Montallegro.

 

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