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Il peso della solitudine: la depressione nell’anziano

Il peso della solitudine: la depressione nell’anziano

Quanto incide l’isolamento sullo sviluppo della depressione nell’anziano? Nell’ultimo anno di pandemia si è parlato molto di questo tema fondamentale per la salute dei senior. Mancanza di contatti, ghettizzazione dalla comunità, impossibilità di coltivare gli affetti: situazioni che possono portare a pesanti conseguenze e allo sviluppo di disturbi depressivi. Approfondiamo l’argomento con il Professor Luigi Ferrannini, medico specialista in Psichiatria e componente del Consiglio dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Genova 21-24.

Isolamento e depressione: come sono legate nell’anziano secondo gli studi clinici?

Questo è un tema sicuramente centrale, che in qualche misura la pandemia ha svelato ma che esisteva già da prima. È molto interessante notare come qualche anno fa sul New York Times fosse uscito un articolo sulla solitudine che la definiva come una delle cause più frequenti di morte dell’anziano. Si tratta perciò di un tema che era stato sollevato già da tempo, ma che non era stato affrontato con la dovuta attenzione.

Dobbiamo sicuramente chiarire cosa intendiamo per solitudine. La solitudine è una “parola valigia”, che dentro di sé contiene molte forme possibili di solitudine. Non escludiamo che ci sia una certa percentuale di persone che – per il loro stile di vita e per la loro personalità ed abitudini – tenda a essere più isolata ed avere meno relazioni e contatti sociali: è necessario perciò fare attenzione a non patologizzare questo tipo di solitudine più fisiologica.

C’è poi invece una solitudine che isola dai rapporti sociali, che non consente legami affettivi, che mette in difficoltà gli stessi meccanismi neurobiologici di apprendimento. La solitudine non ha un effetto molto marcato solo sul profilo psicologico, ma anche un effetto significativo sul profilo biologico: il declino cognitivo può essere accelerato dalla solitudine. Inoltre, va considerato che la solitudine non facilita una buona alimentazione e comporta molto spesso un aumento di consumo di alcol. Tutta una serie di fattori di rischio delle abitudini della persona che vivendo da sola sposta su altri elementi la sua gratificazione piuttosto che sulla relazione d’aiuto, sul contatto e sul rapporto con gli altri.

Negli ultimi anni ci sono stati moltissimi lavori sulla solitudine: in modo particolare l’Associazione Italiana di Psicogeriatria ha istituito una Giornata Nazionale della Solitudine, il 15 novembre di ogni anno ed è stata stilata una Carta su come prevenire e gestire la solitudine.

Oltre all’isolamento, quali sono le variabili che possono portare allo sviluppo della depressione senile?

Innanzitutto, va fatta una distinzione quando si parla di depressione senile. Abbiamo infatti due scenari possibili. Da un parte, la persona che soffre di un disturbo depressivo da anni ed invecchia e il modo in cui questo sintomo continuerà a far parte della sua storia clinica e sociale. Dall’altra, una depressione late onset, che insorge e si manifesta per la prima volta durante la terza età. Inoltre, va tenuto in considerazione che molte patologie si manifestano inizialmente anche attraverso disturbi depressivi, come il Parkinson, la Sclerosi Multipla, i vari quadri di Deficit cognitivi e le Demenze.

Oltre all’isolamento, nell’anziano i fattori di rischio della depressione sono la perdita – di ruolo sociale, economica, di potere sociale, di relazioni e il lutto, inteso sia come perdita di una persona cara, ma anche come sensazione di pericolo e paura di rimanere soli. Si tratta di condizioni che hanno differenze di genere e di classi sociali significative. Inoltre,  hanno un peso importante anche fattori genetici e familiari.

Come riconoscere la depressione nell’anziano? È diversa dalla depressione che si manifesta in altri momenti della vita?

Dipende dallo sguardo che abbiamo sull’anziano. Storicamente, siamo sempre partiti da una posizione che vedeva la vecchiaia già come anticipazione della morte: senectus ispa morbus est. Col tempo ci siamo spostati verso attese di vita molto maggiori e abbiamo superato questo paradigma storico: ci siamo accorti che il problema era come guardavamo l’anziano. È diventato evidente che era necessario superare gli aspetti di ageismo e discriminazione e guardare veramente come stava la persona nella sua vita reale.

Fatta questa premessa, la sintomatologia dell’anziano non è molto diversa da quella classica dei Disturbi dello Spettro dell’ansia e dell’umore. Il vero problema è che il vissuto della depressione dell’anziano è molto diverso da persona a persona: c’è un rapporto molto forte tra sintomo e vissuto, che è determinato anche da fattori culturali. Alcune diagnosi, come quella di depressione, soprattutto nell’anziano, contengono ancora un contenuto di stigma sociale. La lettura esterna perciò favorisce non solo la presa in carico e la diagnosi precoce, ma anche lo sviluppo di un rapporto positivo con la propria malattia, che è fondamentale per l’aderenza ai trattamenti. Se non c’è un rapporto costruttivo tra sintomo e vissuto, l’adesione ai trattamenti risulta quasi sempre fallimentare.

Come agire nel momento in cui la depressione è riconosciuta e diagnosticata?

Naturalmente, esistono molti psicofarmaci per la depressione, validati, efficaci, fondati sulle evidenze scientifiche. Va tenuto in conto però che il trattamento farmacologico non può essere il solo intervento messo in atto. Il trattamento farmacologico va sempre inserito in una relazione di cura. Come ricorda la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento, “il tempo della comunicazione è tempo di cura“. La relazione è fondamentale perché dà anche fiducia sulla risposta ai trattamenti. Inoltre, va costruita intorno alla persona una rete psicosociale di supporto, che possa supportare l’anziano nei momenti più difficili. Non affidiamoci pertanto ad un solo tipo di intervento, che sia solo psicologico o farmacologico: l’intervento deve essere sempre un intervento integrato.

Sia per la prevenzione che per il trattamento, ci sono altre formule importanti: i gruppi di auto aiuto, l’active ageing, lo studio (ad esempio l’Università della Terza Età), la partecipazione attiva ad eventi sociali ed altro ancora. Tutte attività che stimolano l’anziano, anche sul profilo culturale, e lo aiutano a uscire dal suo isolamento, che rischia di diventare una bolla sempre pronta a rompersi.

Come combattere la solitudine e l’isolamento oggi, in un momento in cui i contatti sono diventati pericolosi, soprattutto per soggetti fragili come gli anziani?

Il distanziamento sociale ha colpito tutti, non solo gli anziani. La tecnologia – smartphone, tablet, pc ed altro ancora – è sicuramente un elemento importante per mantenere i contatti, è uno strumento che rende meno pesante la condizione d’isolamento. È importante però non delegare tutto alla tecnologia: in qualche misura vanno sempre cercati e trovati degli spazi di relazione, in famiglia e fra i propri simili.

Spesso, inoltre, non si tiene conto delle ripercussioni non sempre positive della tecnologia. Il computer è un contatto di informazioni, ma anche di informazioni pericolose, negative o sbagliate. In qualche modo, il futuro dovrà tenere conto di questi elementi. Anche il settore medico dovrà trovare una formula ibrida, in cui la tecnologia non vada a sostituire il rapporto personale, elemento fondante di una medicina personalizzata, perché senza rapporto e contatto non è possibile creare una relazione di cura e non si possono valutare e monitorare gli esiti dei trattamenti. La medicina personalizzata è fondamentale, soprattutto per l’anziano. Non torneremo alla visita diretta in assoluto, ma il problema è non andare incontro ad altre forme predominanti che escludono la personalizzazione.

Micol Burighel

Luigi Ferrannini

Prof. Luigi FerranniniNato a Bari nel 1948, laureato in Medicina e Chirurgia nel 1972, specializzato in Psichiatria nel 1976 ed in Neuropsichiatria Infantile nel 1979. Primario di Psichiatria dal 1980, ha lavorato in Ospedali Psichiatrici, Centri di Salute Mentale e Servizi Psichiatrici Ospedalieri. Consulente del Ministero degli Affari Esteri per lo sviluppo di Programmi di Cooperazione Internazionale nell’area dell’assistenza psichiatrica e della salute mentale in Paesi in situazioni di conflitto. Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’ASL n. 3 “Genovese” dal 1994 al 2013, data di pensionamento. Consulente del Ministero della Salute, della Conferenza Stato-Regioni e dell’AGENAS sui temi della salute mentale e dell’assistenza psichiatrica dal 2006 al 2016 e dell’Agenzia Sanitaria della Regione Liguria dal 2013 al Maggio 2016. Segretario della Società Italiana di Psichiatria (SIP) dal 2000 al 2009 e successivamente Presidente dal 2009 al 2011. Attualmente Consigliere Onorario. Socio fondatore (1999) dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP) ed attualmente Presidente del Comitato di Garanzia ed Indirizzo. Componente del Consiglio dell’Ordine dei Medici della Provincia di Genova dal 2015 al 2017 ed attualmente dal 2018 al 2020.

 

 

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