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Cardiologia e oncologia tornano negli ospedali riservati al virus

Cardiologia e oncologia tornano negli ospedali riservati al virus

Negli ultimi tre mesi raddoppiata la mortalità tra i cardiopatici. In alcune Regioni lenta ripresa degli screening per prevenire il cancro

di Rino Di Stefano

Di qualcosa bisogna pur morire, recita un antico adagio popolare. Tuttavia, pur nella inevitabilità del fato umano, non c’è una sola ragione al mondo per dover accelerare i tempi. Anzi, nei limiti che ci consente il nostro libero arbitrio, sarebbe bene prendere ogni precauzione possibile per goderci la vita più che possiamo ed evitare ogni situazione di pericolo.

Con il Covid-19, per esempio, siamo stati attenti ad evitare contagi e rischi inutili. Solo che non ci siamo accorti che, così facendo, abbiamo sì affrontato un dramma del tutto inaspettato nel modo che ci è sembrato più opportuno, ma abbiamo anche trascurato tutte quelle patologie “normali” che adesso stanno presentando il conto.

L’allarme viene dai cardiologi, i quali fanno notare come in questo periodo di pandemia sia raddoppiata la mortalità per infarto. In alcune aree, addirittura si è triplicata. Infatti, dal momento che nell’emergenza gli ospedali sono diventati dei veri e propri Centri Covid, tutte le altre specializzazioni sono state momentaneamente sospese (o ridotte all’essenziale) con effetti devastanti per decine di migliaia di persone ovunque in Italia.

E non si parla, come vedremo, solo di malattie cardiovascolari, responsabili di circa 260mila decessi ogni anno. Il primo a far registrare “una riduzione del 48,4% dei ricoveri per infarto miocardico acuto”, con una mortalità “quasi raddoppiata”, è stato uno studio pubblicato sull’European Hearth Journal che, come dice una nota dell’Adnkronos Salute, “ha analizzato il numero dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva coronarica di 54 strutture cardiologiche universitarie italiane associate nel Coronary Care Unit – Academic Investigator Group, nella settimana dal 12 al 19 marzo 2020, paragonandoli a quelli dell’anno precedente”.

Il risultato di questa ricerca, coordinata dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC), ha portato a risultati quasi uniformi in tutta Italia: la riduzione dei ricoveri è stata del 52,1% al Nord, del 59,3% al Centro, del 52,1% al Sud. In numeri assoluti e confrontando da un anno all’altro, i ricoveri sono passati da 618 (di cui 176 donne e 442 uomini) a 319 (76 donne e 243 uomini) e la mortalità è quasi raddoppiata, passando da 17 a 31 casi.

“I ricoveri per infarto miocardico acuto sono stati significativamente ridotti durante la pandemia di Covid-19 in tutta Italia – commenta il dottor Roberto Pedrinelli, direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università di Pisa, che ha partecipato alla ricerca – E questo rappresenta un grave problema sociale, che richiede attenzione da parte delle comunità scientifiche e sanitarie e delle agenzie di regolamentazione pubbliche”.

“Se questa tendenza dovesse persistere e la rete cardiologica non sarà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che di Covid-19 – afferma il dottor Ciro Indolfi, presidente della SIC e ordinario di Cardiologia all’Università Magna Grecia di Catanzaro – L’organizzazione degli ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi. Per timore del contagio, i pazienti ritardano l’accesso e arrivano in condizioni sempre più gravi, con complicazioni, che rendono molto meno efficaci le cure salvavita come l’angioplastica primaria. Se questa tendenza dovesse persistere e la rete cardiologica non sarà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che di Covid-19”.

Il calo dei ricoveri per infarto ha coinvolto diverse forme patologiche. “Il calo più evidente ha riguardato gli infarti per occlusione parziale delle coronarie, ma è stato osservato anche in ben il 26,5% dei pazienti con una forma più grave d’infarto”, spiega il dottor Salvatore De Rosa, coautore dello studio. E aggiunge che la riduzione dei ricoveri per infarto “è stata maggiore nelle donne rispetto agli uomini e non solo i pazienti con infarto si sono ricoverati meno, ma quelli che lo hanno fatto si sono ricoverati più tardi”.

“Una riduzione simile a quella dei ricoveri per infarto è stata registrata anche per lo scompenso cardiaco, con un calo del 47% nel periodo Covid rispetto all’anno precedente – osserva il dottor Pasquale Perrone Filardi, presidente eletto SIC – Una riduzione sostanziale dei ricoveri è stata osservata anche per la fibrillazione atriale, con una diminuzione di oltre il 53% rispetto alla settimana equivalente del 2019. Così come è stata registrata una riduzione del 29,4% di ricoveri per malfunzione di pace-makers, defibrillatori impiantabili e per embolia polmonare”.

Venendo ad un esempio specifico, in Campania il decremento di ricoveri sia d’urgenza che elettivi per malattie cardiovascolari è stato di circa il 60%, con una mortalità per infarto triplicata. I dati vengono definiti preoccupanti dal dottor Paolo Golino, professore di Cardiologia e Utic dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli.

“Il mancato attenzionamento da parte del paziente e il mancato ricovero in ospedale per timore di contrarre l’infezione del Covid-19, ha comportato un aumento di tre volte della mortalità per cause cardiovascolari rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – spiega il professor Golino – E questo ci preoccupa moltissimo. Da qui il mio invito alla popolazione, visto che siamo nella fase due e in considerazione della diminuzione progressiva del numero di nuovi infetti in Campania, a recarsi negli ospedali qualora si manifestino sintomi che facciano pensare a un problema cardiovascolare o a un infarto. Infatti, a fronte di una possibilità molto remota di contrarre il Coronavirus, c’è la quasi certezza di un aumento della mortalità che invece potrebbe essere scongiurato con il ricovero presso l’ospedale”.

Ma non è solo la cardiologia ad aver sofferto a causa della pandemia. Come hanno fatto notare gli specialisti dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) in occasione del congresso della Società Americana di Oncologia Medica (ASCO), che si è svolto in modo virtuale per l’emergenza Covid-19 invece che a Chicago come sempre, per tre mesi la pandemia ha determinato il blocco dei programmi di prevenzione secondaria. Per cui, se la situazione si prolungasse, si correrebbe il rischio concreto di un maggior numero di diagnosi in fase avanzata. E ciò significherebbe un conseguente peggioramento delle prognosi e un aumento delle spese per le cure.

Da qui un grande progetto di sensibilizzazione sul ruolo degli screening che tutti dovrebbero fare, dai giovani agli anziani. “L’iniziativa avrà una forte ricaduta sui social network – afferma il dottor Saverio Cinieri, presidente eletto dell’AIOM e direttore del reparto di Oncologia Medica e Breast Unit dell’ospedale Perrino di Brindisi – La pandemia, oltre al differimento dei trattamenti anticancro meno urgenti, ha determinato due gravissime situazioni, a cui bisogna far fronte quanto prima. Innanzitutto, negli ultimi tre mesi sono stati eseguiti solo gli interventi chirurgici non procrastinabili. Oltre il 60% delle operazioni è stato posticipato e ora il lavoro arretrato va recuperato. Dall’altro lato, a causa del Covid-19 si è avuto il blocco totale dei programmi di screening. Preoccupano i ritardi nel loro riavvio, perché solo alcune Regioni si sono attivate e la situazione oggi è a macchia di leopardo”.

Al momento risulta che la Regione Emilia Romagna abbia stabilito in maniera prioritaria la riapertura dello screening mammografico, la ripresa dello screening cervicale e del programma colon rettale. In Toscana sono riprese le attività sanitarie e ambulatoriali. In Veneto i primi programmi di screening sono ripartiti il 4 maggio.

In Sicilia una delibera dell’8 maggio stabilisce la ripartenza degli screening. La Regione Lazio ha stabilito la ripresa dei primi screening dallo scorso 28 maggio. La Lombardia, infine, con delibera del 22 maggio ha indicato il riavvio dei programmi di screening.

Insomma, poco per volta e con gradualità, l’intero Paese sta riprendendo la strada che il Covid-19 aveva fatto interrompere. Un altro segno, forse, che ci stiamo lasciando alle spalle un’immane tragedia che entrerà nei libri di storia.

 

 

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