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Wislawa Szymborska e la poesia dello stupore

Wislawa Szymborska e la poesia dello stupore
Wislawa Szymborska

Wisława Szymborska è stata una poetessa di spicco nel panorama letterario del Novecento.

Ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 per la sua capacità di esplorare la complessità della condizione umana con uno sguardo acuto e un linguaggio poetico che colpisce nel profondo.

Nel discorso per la consegna del premio, Szymborska parla di cosa sia l’ispirazione e dice: “L’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti, o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e ci sarà sempre un gruppo di individui che l’ispirazione visita. Sono tutti coloro che hanno scelto consapevolmente la propria vocazione e che svolgono il proprio lavoro con amore e immaginazione. Sono medici, insegnanti, giardinieri – e potrei elencare un centinaio di professioni in più. Il loro lavoro diventa un’avventura incessante finché riescono a scoprirvi nuove sfide. Difficoltà e contrattempi non fermano mai la curiosità. Uno sciame di nuove domande emerge da ogni problema che risolvono. L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un continuo non lo so.”

Nata in Polonia nel 1923, la sua esistenza è stata plasmata dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, forgiando così il suo sguardo perspicace e allo stesso tempo meravigliato nei confronti del mondo circostante.

Nella sua poesia, la prospettiva dell’universale è una sorpresa perpetua, che può rivelarsi sotto forme problematiche e intricate o apparentemente comuni ed effimere. Ma mai niente sfugge alla sua osservazione vigile e alle sue parole penetranti.

Attraverso uno sguardo acuto, Wisława Szymborska è in grado di esprimere una leggerezza che, pur senza mai scadere nell’apparenza, si dimostra sempre attenta e lieve, mai superficiale.

Al mio cuore, di domenica

Ti ringrazio, cuore mio:

non ciondoli, ti dai da fare

senza lusinghe, senza premio,

per innata diligenza.

 

Hai settanta meriti al minuto.

Ogni tua sistole

è come spingere una barca

in mare aperto

per un viaggio intorno al mondo.

 

Ti ringrazio, cuore mio:

volta per volta

mi estrai dal tutto,

separata anche nel sonno.

 

Badi che sognando non trapassi in quel volo,

nel volo

per cui non occorrono le ali.

 

Ti ringrazio, cuore mio:

mi sono svegliata di nuovo

e benché sia domenica,

giorno di riposo,

sotto le costole

continua il solito viavai prefestivo.

 

Disattenzione

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.

ho passato tutto il giorno senza fare domanda,

senza stupirmi di niente.

 

Ho svolto attività quotidiane,

come se ciò fosse tutto dovuto.

 

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,

ma senza un pensiero che andasse più in là

dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

 

Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,

e io l’ho preso solo per uso ordinario.

 

Nessun come e perché –

e da dove è saltato fuori uno così –

e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

 

Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro

(e qui un paragone che mi è mancato).

 

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti

perfino nell’ambito ristretto di un batter d’occhio.

 

Su un tavolo più giovane da una mano d’un giorno più giovane

Il pane di ieri era tagliato diversamente.

 

Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,

poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

 

La terra girava intorno al proprio asse,

ma già in uno spazio lasciato per sempre.

 

È durato 24 ore buone.

1440 minuti di occasioni.

86.400 secondi di visione.

 

Il savoir-vivre cosmico,

benché taccia sul nostro conto,

tuttavia esige qualcosa da noi:

un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal

e una partecipazione stupita a questo gioco

con regole ignote.

 

Un appunto

La vita – è il solo modo

per coprirsi di foglie,

prender fiato sulla sabbia,

sollevarsi sulle ali;

 

essere un cane,

o carezzarlo sul suo pelo caldo;

 

distinguere il dolore

da tutto ciò che dolore non è;

 

stare dentro gli eventi,

dileguarsi nelle vedute,

cercare il più piccolo errore.

 

Un’occasione eccezionale

per ricordare per un attimo

di che si è parlato

a luce spenta;

 

e almeno per una volta

inciampare in una pietra,

bagnarsi in qualche pioggia,

perdere le chiavi tra l’erba;

e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;

 

e persistere nel non sapere

qualcosa d’importante.

(tutte le traduzioni italiane sono di Pietro Marchesani)

Marta Fiandri

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