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Sindrome del nido vuoto: come superare la partenza dei figli

C’è un’età in cui i figli sono del Mondo? Sì, certo: sin dalla loro nascita.

Noi genitori siamo i custodi, attraverso i figli costruiamo la famiglia, li accudiamo, li facciamo crescere, insegniamo loro le cose del mondo e i buoni principi e i valori nel migliore dei modi, come sappiamo fare, e poi….. un giorno…. volano via proprio come aquilotti cresciuti.

Magari si sposano, e quale migliore occasione per piangere! Oppure, semplicemente vanno a vivere da soli, o a convivere con qualcuno, o si trasferiscono all’estero per studiare o per lavorare; insomma, i motivi – e sono tanti – sono (o dovrebbero essere) tutti buoni per lasciare il nido e per volare via.

Alla ricerca di se stessi e della propria libertà, sperando che almeno la forza delle ali siamo riusciti a dargliela, ma forse non è neppure tanto importante, perché – tanto – le ali se le faranno da soli, alla maniera loro e alla maniera della vita che ci sostituisce.

E noi? Anche con tanti figli, prima o poi da soli ci restiamo.

Anzi, siamo fortunati se restiamo con il nostro compagno o compagna di vita, perché non è per nulla scontato che così sarà e allora il nido sarà veramente “vuoto” se non sapremo “riempirlo”.

Ad esempio, con nuove relazioni – affettive/amorose se il caso o semplicemente amicali – o con le passioni e desideri sacrificati nell’era dell’accudimento dei figli, oppure – che gioia! – con i nipotini.

Ma intanto c’è un periodo morto che richiede un vero e proprio “lutto” con tanto di cerimonia: disfarsi di tutto ciò che i figli inevitabilmente vorrebbero lasciare: via tutto, la loro cameretta, i vecchi giochi, i vecchi vestiti, libri…. tutto…. o se li prendono…. o finiscono in cantina….

Questo è un sistema per separarsi “materialmente” dai figli, perché affettivamente i figli restano nel cuore dei genitori e viceversa, salvo casi particolari.

Certo, è facile vedere cuore di mamma infranto, così come è facile vedere orgoglio di padre; e infatti madre e padre soffrono in maniera differente: il padre vede nel figlio che vola via “l’uomo” che ha cercato di crescere, mentre la madre, per quanto consapevole, vede il suo “bambino” che la lascia, come se lei dovesse (e deve) mettersi da parte.

E infatti così è: mettersi da parte e godere di qualsiasi “briciola” di tempo che i figli vorranno, o potranno dedicarci, senza fare storie o inscenare pseudo o vere depressioni.

Un figlio che parte ci fa pure un favore, lasciandoci il nido vuoto: ecco, questo, a mio parere, è un ottimo antidoto ed è un concetto sul quale riflettere per piangere o soffrire meno: siamo “liberi” della nostra vita e della nostra età che, inevitabilmente, con la convivenza prolungata avrebbe portato a scontri generazionali magari anche dolorosi, oltre che inutili.

E allora ben venga la partenza, il volo, con la nostra benedizione e con la gioia di vederli realizzare nella vita e con altrettanta gioia di avere tempo, spazio e voglia per noi, per la nostra coppia, o per noi singolarmente.

Ecco come superare la partenza dei figli: con amore e gioia, con tanti auspici di buona vita, con serenità e consapevolezza di aver fatto – come si è potuto e saputo fare – del nostro meglio, sempre e comunque.

E poi, con lacrime di gioia, anche se con un po’ di nostalgia. Ma mai, speriamo, di rimpianti.

Far volar via i nostri aquilotti è come generarli e partorirli una seconda volta: il mondo li aspetta e ha bisogno di loro, decisamente più di quanto, in modo sano, ne dovremmo aver bisogno noi.

Ma il mondo si aspetta che anche che noi, “genitori soli”, sapremo riprenderci la vita. Il mondo aspetta anche noi – ne ha bisogno e noi abbiamo bisogno di lui e sicuramente, nel mondo incontreremo sempre i “nostri” figli.

Dunque, la sindrome del nido vuoto non va “superata” punto e basta, come se fosse un torto subito da perdonare; essa è un’occasione imperdibile per rinnovare tutto l’amore possibile nei confronti dei figli e di noi stessi.

Deprimersi non serve; serve affrontare il distacco con più o meno naturalezza (anche noi, a nostra volta abbiamo lasciato un nido!) e serve riappropriarsi totalmente delle chiavi del cassetto di nuovi “investimenti” psichici.

E come si fa con i ragazzi scout: “Buon cammino” figlio mio.

E buon nuovo cammino a noi.

Grazia Aloi, psicoanalista – www.officinadellapsiche.it

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