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Saggezza tedesca in “Serenità. L’arte di invecchiare”

Saggezza tedesca in “Serenità. L’arte di invecchiare”
Wilhelm_Schmid_Buchmesse
“Serenità. L’arte di invecchiare” un titolo che va dritto al punto e rende bene l’idea del messaggio del libro, così tutti gli altri dello scrittore tedesco Wilhelm Schmid, da “Felicità” a “Filosofia dell’arte di vivere”, tutti legati dal filo conduttore della Lebenskunstphilosophie (la filosofia dell’arte di vivere). Ma non si tratta di manuali di self-help,…

“Serenità. L’arte di invecchiare” un titolo che va dritto al punto e rende bene l’idea del messaggio del libro, così tutti gli altri dello scrittore tedesco Wilhelm Schmid, da “Felicità” a “Filosofia dell’arte di vivere”, tutti legati dal filo conduttore della Lebenskunstphilosophie (la filosofia dell’arte di vivere).

Ma non si tratta di manuali di self-help, perché Schmid non è affatto il primo scrittore che passa. Studi tra Berlino e Tubinga, docente di filosofia all’università di Erfurt e conferenziere di successo, Schmid è un grande erudito, che punta a far tornare la filosofia alle sue origini classiche e renderla un aiuto pratico per la vita, alleggerendola da tutte quelle citazioni metafisiche che spesso fanno desistere i non addetti ai lavori dall’interessarsene.

La preoccupazione umana per una “vita buona” non è un tema nuovo, ma deriva dalla tradizione eudaimonistica della filosofia classica greca, dove ha conosciuto il primo approfondimento filosofico.

In Serenità affronta due dei pensieri che affliggono maggiormente l’animo umano: la vecchiaia e la morte e lo fa per realizzare un intento specifico: “il tentativo di presentare dieci passi per raggiungere la serenità, con lo scopo di acquistare un’art of aging (arte di invecchiare), invece che un’antiaging (prodotto anti-invecchiante).

Il primo pensiero su cui si affaccia il libro è che “un essere umano può convivere tranquillamente solo con ciò che accetta come vero”, da cui deriva che la prima cosa da evitare nel percorso della vita sia quella di rifiutare il pensiero di diventare anziani, di non accettare l’avanzare dell’età, di lottare contro di essa come se fosse un demone da nascondere.

“Sono fiero del mio volto anche a 60 anni? Allora c’è una possibilità che la mia sia una bella faccia. Se invece combatto contro il pensiero che il mio volto invecchi, allora non sembrerò bello, ma solo nervoso”, spiega nel libro.

Il segreto per raggiungere questa serenità è quindi quello di abbandonare una presunta coolness (finta calma interiore) e assecondare i raggiungimenti e le esperienze incontrate durante il proprio cammino della vita.

Nonostante l’opera non sia affatto banale, i destinatari non sono gli specialisti della filosofia, gli studiosi del mestiere o gli accademici, ma i curiosi, i profani, coloro che si interrogano sul senso della vita e sulle conseguenze del tempo e del suo scorrere imperturbato.

In una società moderna che si caratterizza per spingere l’attività a ogni costo e in tutte le sue possibili declinazioni, dall’eccesso di messaggi e informazioni a quello di lavoro, dalla cura esasperata del corpo alla mania del multitasking, la vecchiaia viene vista da Schmid come lo spazio vitale in grado di consentire di vivere in modo passivo, di rispondere con quel famoso “I would prefer not to” (preferirei non farlo) che Bartleby, dell’omonimo racconto di Melville, rispondeva al proprio datore di lavoro come composta forma di resistenza alla società capitalistica.

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