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Psicologia over 50: come combattere la depressione

Psicologia over 50: come combattere la depressione
Esiste un momento, nel corso dell’anno, in cui è inevitabile fare una sorta di consuntivo, ripensando alle tante cose fatte nell'ultimo periodo.  Questo si applica anche a un particolare momento della vita, quello in cui si riflette sugli avvenimenti passati e sulle scelte che abbiamo fatto. Questi due eventi si sono verificati proprio adesso, nell'ultimo…

Esiste un momento, nel corso dell’anno, in cui è inevitabile fare una sorta di consuntivo, ripensando alle tante cose fatte nell’ultimo periodo.  Questo si applica anche a un particolare momento della vita, quello in cui si riflette sugli avvenimenti passati e sulle scelte che abbiamo fatto.

Psicologia over 50: come combattere la depressione

Questi due eventi si sono verificati proprio adesso, nell’ultimo mese, in quanto gli incontri del gruppo di “rinnovamento nell’invecchiamento” (così si è auto-definito il gruppo stesso) stanno volgendo al termine per la consueta pausa estiva. È un periodo di consuntivo in quanto si è sentito forte il bisogno di riflettere tutti insieme sulle eventuali ricadute delle nostre conversazioni e, perché no, delle tante suggestioni – tristi o allegre, non importava! – condivise dalle persone. E questo è anche un modo per elaborare il lutto della separazione, ancorché temporanea, che ci  vedeva coinvolti.

 Si è messa in evidenza la problematica che più, durante le sedute, ha preso campo e ha prodotto un gran numero di osservazioni e di discussioni: l’allontanamento dal lavoro e la conseguente riduzione dei contatti sociali. A questo proposito, è stata riconosciuta l’utilità della partecipazione all’iniziativa da noi portata avanti, peraltro non senza problemi, legati per lo più alla scarsa mobilità di alcune persone e alla ovvia difficoltà di alcuni partecipanti a raggiungere la sede degli incontri.

 L’idea condivisa da tutti, intorno al problema della “mezza età”, ha riguardato la consapevolezza che, in questo momento della vita, è necessario spostare  i propri investimenti affettivi da una persona o da una particolare attività su un’altra, dimostrando una buona flessibilità nell’affrontare la quotidianità, anche se non sempre è accattivante. Questo movimento mentale presuppone una profonda capacità recettiva verso nuove idee e soprattutto verso nuove progettualità.

Abbiamo già messo in evidenza come le trasformazioni e il proiettarsi in avanti non siano modalità che la società moderna possa riconoscere come caratteristiche proprie dell’anziano, ma è stato anche dato ampio spazio, nei contributi precedenti, alle diverse finalità della psicogeragogia, che insegna alla persona non più giovanissima a sperimentare, e di fatto vivere, l’ultima fase della vita con dignità e fermezza, indicando la strada verso una consapevolezza ferma e risoluta per quanto riguarda il raggiungimento del proprio benessere, che si esplica attraverso molte forme, sia fisiche che psichiche.

 Indubbiamente, l’anziano vive in uno stato di preoccupazione verso il futuro, che non deriva tanto dal declino intellettuale, quanto da fattori emotivi connessi all’integrazione sociale: all’interno di questo quadro deve essere letta, come perdita a volte difficilmente rimediabile, proprio la cessazione delle attività lavorative, insieme al conseguente allontanamento da uno status sociale, riconosciuto da più persone, e all’esclusione da un ruolo predominante nella vita familiare.

Un’altra riflessione finale è stata quella relativa alla qualità dell’invecchiamento, che indubbiamente dipende in grande misura dalla posizione socio-economica alla quale si appartiene. È stata convinzione condivisa che il declino senile sia più rapido per coloro che hanno svolto un lavoro manuale ma che, soprattutto, non abbiano avuto la possibilità di ampliare le proprie potenzialità in termini di maggiori conoscenze e di approfondimento culturale. Certamente, una situazione economica agiata favorisce la ricerca e l’approdo a nuovi orizzonti, ma questo non è sembrato vincolante: quello  che aiuta la persona è il bisogno interiore di completare un percorso di crescita personale, seguito da una buona dose di intraprendenza, e per fare questo è necessario sviluppare spinte motivazionali complesse che possano renderci davvero capaci di modificare se stessi.

A questo proposito, l’idea decisamente trasformativa, nata e cresciuta nel gruppo, si è rivelata la convinzione legata alla nuova concezione di “tempo liberato, ritrovato”, tempo che può essere una volta per tutte veramente a disposizione della persona stessa. Quindi, un profondo ottimismo ha sempre contrastato quei momenti di buio, probabilmente inevitabili,  scaturiti da eventi occasionali che venivano raccontati dalle persone.

Tutti noi abbiamo completamente aderito alla convinzione che crearsi degli spazi autonomi, al di là delle rete sociale che può normalmente contenere la persona (famiglia e rete più ampia di conoscenti), nei quali poter trovare sbocchi ludici e/o di riflessione, o anche entrambe le componenti, sia condizione di base per risolvere tutti insieme le problematiche di ciascuno, che peraltro interessano un gran numero di persone che invecchiano. In altre parole, “condivisione” è la parola chiave, e il gruppo ha permesso un movimento di crescita e di disposizione al cambiamento in senso decisamente positivo e costruttivo.

L’idea ottimistica che ha aleggiato per tutto l’ultimo incontro, e che ha sempre guidato l’intera iniziativa gruppale, è stata quella secondo la quale è sempre necessario ristrutturare il tempo ricercando nuovi progetti e nuove motivazioni: è solo scandendo il proprio tempo in prima persona che si rimane protagonisti della propria vita, e di conseguenza si ha la possibilità di  ridefinire la propria identità, dandole un senso diverso e più pieno.

In caso contrario, si rischia di perdersi all’interno di un tempo vuoto, rimanendone succubi e prigionieri. Il senso di sconfitta e di delusione si impadronirà di noi, e la depressione si presenterà alle porte.

Paola Aslangul

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