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Parkinson e disfagia: il tipo di alimentazione può migliorare la qualità della vita?

Parkinson e disfagia: il tipo di alimentazione può migliorare la qualità della vita?
Al via lo studio dell'Università di Genova, in collaborazione con Harg, su 140 persone affette da morbo di Parkinson e con difficoltà di deglutizione

Capire in quale misura la variabile dell’alimentazione possa incidere sulla sintomatologia non motoria di chi è affetto da morbo di Parkinson e in che modo riesca a migliorarne la qualità della vita. A questo scopo Università di Genova e Harg, azienda specializzata nella produzione di alimenti adatti a chi soffre di disfagia, uniscono forze e competenze e avviano una nuova collaborazione. Collaborazione che nasce proprio dallo studio redatto dal Dipartimento di Scienze della Salute dell’ateneo genovese, W-Domus-Park, ossia “Outcome assistenziale al bisogno nutrizionale dei pazienti con malattia di Parkinson e deficit di deglutizione”. «Il Covid ne ha rallentato l’avvio, ma entro l’1 novembre saremo pronti a partire», annuncia Milko Zanini, ricercatore dell’Università di Genova e presente nel team multidisciplinare alla guida dello studio.

Gli obiettivi

A differenza della maggior parte di studi che, anche a livello internazionale, hanno esaminato il solo deficit motorio del morbo di Parkinson, la ricerca dell’Università di Genova si occupa della sintomatologia non motoria e, in particolare, della variabile legata alla componente nutrizionale e alimentare: «Anche i sintomi non motori di questa malattia hanno un forte impatto sulla qualità della vita delle persone che ne soffrono – precisa Zanini – In particolare, la difficoltà nella deglutizione è una sintomatologia molto diffusa tra loro: anche i più recenti studi sulla malattia confermano che solo il 5% dei malati di Parkinson non presenta alcuna criticità. Le complicanze della disfagia sono diverse: l’aspirazione di cibo nelle vie aeree, per esempio, che può provocare anche una polmonite. A ciò si aggiunge anche il rischio nutrizionale, che del resto è tipico dei pazienti neurologici: parliamo quindi di perdita di peso e di massa muscolare, già impattata dal deficit motorio causato da questa malattia».

A questo proposito, lo studio genovese punta a raccogliere non solo dei dati generali sulle diverse variabili legate alla qualità della vita delle persone, ma anche quelli legati alle funzionalità dell’apparato gastrointestinale e alla presenza o meno di sarcopenia, appunto la perdita di deficit muscolare che spesso colpisce i soggetti che seguono una dieta ipoproteica.

Nella pratica, aderiranno allo studio 140 persone affette da Parkinson e con difficoltà di deglutizione, al momento in cura nel centro specializzato dell’ospedale La Colletta di Arenzano (provincia di Genova). Suddivisi in due gruppi, seguiti e supportati da personale medico e universitario, dovranno seguire due tipi di dieta: «Il primo gruppo procederà con la stessa alimentazione che ha ricevuto finora, mentre il secondo gruppo dovrà seguire una dieta studiata apposta per chi soffre di disfagia: è qui che entra in gioco il supporto di Harg, che fornirà gli alimenti pensati apposta per queste persone», descrive Zanini. Ciascun paziente verrà seguito nel proprio domicilio. I dati verranno raccolti e valutati in base alla scala Nnms, Novel non motosyntom scale for Parkinson.

La dieta

Dalla carbonara a diverse varietà di dolci, la dieta scelta per ciascun paziente è personalizzata in base alle sue preferenze organolettiche ed esigenze nutrizionali: «Un menù coerente con ciò che piace alla persona e, naturalmente, con ciò che può mangiare – dice Zanini – Non a caso è sviluppato insieme a un dietista». La formulazione delle pietanze è compatibile con la gestione domiciliare del paziente: i preparati possono essere facilmente completati nella propria cucina di casa.

I risultati

Trascorsi sei mesi, verranno tratte le prime conclusioni dalla comparazione dei dati sulle variabili nutrizionali dei due gruppi: «Se i primi risultati dovessero essere soddisfacenti, potremmo ritenere concluso lo studio – spiega Zanini – Al contrario, procederemo con il crossover: invertiremo il tipo di alimentazione nei due gruppi e andremo avanti con altri sei mesi di studio».

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