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Monteneve, la miniera più alta d’Europa meta over 50

Monteneve, la miniera più alta d’Europa meta over 50

Dopo un’ora buona di piacevolissimo cammino tra i rododendri in fiore e i fischi sommessi delle marmotte, raggiungere il piccolo piano della miniera accolti da uno scenario mozzafiato e da un ritemprante bicchierino di “Spirito di Monteneve”, può essere la soddisfazione più grande per i cinquantenni decisi non solo a “vivere” la montagna, ma anche a scoprire e comprendere la sua storia, i suoi abitanti e le sue dinamiche.

Monteneve, in Val Passiria, nell’Alto Adige, è la miniera più alta d’Europa con i suoi 2354 metri di quota. Qui in passato per sfruttare le ricchezze del sottosuolo vivevano anche mille persone tra minatori e familiari al seguito. Oggi quel durissimo lavoro rivive attraverso testimonianze da conoscere assolutamente.

Da queste parti vivibilità e mobilità sono due condizioni ormai inscindibili. La Val Passiria è una delle zone dell’arco alpino interessato dal progetto delle Alpine Pearls, ovvero “Perle Alpine”: ventotto Comuni al di qua e al di là delle Alpi – separati solo amministrativamente dal confine di Stato ma praticamente alleati nel fare di uno stile di vita uno schema vincente per la promozione turistica – hanno deciso di lavorare insieme sulla base di un catalogo dei criteri che mira ad offrire un prodotto turistico di elevatissima qualità, senza incidere sull’ambiente. Ma evidentemente quel che colpisce è che prima ancora di essere un modello proposto per gli altri, è un metodo voluto per se stessi. E dunque anche un’ottima ragione per spingere le 28 località particolarmente attraenti di sei diversi Stati alpini a collaborare sotto il marchio dell’associazione “Alpine Pearls” per la promozione di un turismo sostenibile sulle Alpi.

Monteneve è una dimostrazione tangibile di questo modo di fare: un’attività estrattiva ormai cessata e riconvertita a luogo di attrazione, perfettamente compatibile con l’anfiteatro dolomitico che la circonda. Risale al 1237 la prima testimonianza sull’attività mineraria (“argento buono di Monteneve in cambio di un carico di spade di Bolzano”) ma quasi certamente anche nell’antichità si era trovato il modo di sfruttarla per il rame.

Al di sopra di 150 km di gallerie e pozzi scavati nel corso dei secoli per estrarre piombo, argento e zinco (ma non mancano le vene di quarzo) grazie ai minerali metalliferi come galena e blenda, solfuri di composizione semplice, si è sviluppato nel tempo il villaggio dei minatori, che nel periodo di massimo splendore è arrivato ad accogliere un migliaio di persone. Mentre gli uomini lavoravano nelle viscere della montagna, fuori si conduceva una vita normale: i bambini andavano nella scuola appositamente attivata per loro e le donne si occupavano delle incombenze quotidiane. Era un paese in miniatura: chi arrivava a Monteneve (Schneeberg in tedesco, perché qui di fatto siamo in Sudtirol e il nome originale della Val Passiria è Passeiertal) sapeva bene che si sarebbe dovuto trattenere per tre mesi.

La zona ancora oggi è raggiungibile soltanto a piedi: dalla strada del Passo Rombo (percorso completo da 2 ore a 2,5 ore, 4 salite diverse) e da Masseria in Val Ridanna (4 ore). A Monteneve si incrociano la “Alta Via Tirolese” ed il “Giro dei 13 Rifugi”. Tutto intorno è un autentico spettacolo della natura: volendo si può persino raggiungere nel contesto di una gita in mountain-bike che va dalla Baviera al lago di Garda, tra la tipica flora e fauna alpina, tra laghi e laghetti.

Il mescolarsi del suolo acido con quello calcareo da una parte e la posizione molto soleggiata dall’altra, fanno sì che soprattutto sul lato orografico destro della conca montana, si presentino prati cosparsi di tantissimi fiori e di erbe aromatiche ed attraggano con farfalle ed insetti in gran numero. Il colpo d’occhio sulla Conca di Seemons è notevole, caratterizzata com’è dai lavori di miniera. Il laghetto che oggi si vede era originariamente molto più grande, in quanto venne riempito in parte dai detriti di scavo delle gallerie e da ghiaie scartate dal frantoio.

La miniera è stata fruttata fino al 1985, ma il villaggio è stato abitato fino al 1967 quando la grande casa delle maestranze è andata a fuoco ed oggi a ricordarne la presenza resta soltanto il basamento.

Pur se non direttamente visibile, quando si arriva a Monteneve della miniera si intuisce in realtà tutto. Prima di tutto la grande piramide, eretta con sassi metalliferi e sulla cui punta brilla il simbolo dei minatori, il Gezahe, ovvero mazza e ferro incrociati. E’ un po’ il simbolo di Monteneve ed era il punto zero di riferimento ed origine delle coordinate di rilevamento della zona mineraria. Tra le casette rimaste in piedi c’è la Chiesa dedicata alla Madonna della Neve, costruita a partire dal 1720 per ricordare i 79 minatori travolti da una valanga il 23 marzo 1693 e dei quali 27 persero la vita; all’interno è conservato un antico Crocifisso. Un tratto della galleria San Martino (che è poi quella principale) può essere visitata insieme alle guide: complessivamente è lunga circa 2 km e da qui nei secoli è uscito tutto il materiale escavato. In galleria c’è una temperatura costante di 6 gradi.

Quella che era la casa dei responsabili della miniera, con decorazioni originali, è stata invece trasformata in rifugio: nel ‘95 è stato totalmente ristrutturato ed è dotato di cento posti a sedere, cento posti letto confortevoli ed una cucina calda continua. Aperto dal 15 giugno al 15 ottobre è il luogo giusto per gustare un piatto di buon speak tirolese, formaggio alle erbe di montagna, una fetta di strudel o dissetarsi con un bicchiere di birra Forst che si produce a Merano.

Giovanni Bosi

www.turismoitalianews.it 

 

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