La Scs Consulting, società bolognese di consulenza professionale in collaborazione con l’Università di Bologna ha svolto una ricerca sul rapporto aziende-impiegati cinquantenni. Ne risulta una fotografia amara: i senior sarebbero poco considerati e apprezzati, un peso nella maggior parte dei casi, nonostante siano lavoratori esperti. Le risposte a questa indagine portano avanti lo stereotipo “negativo” di un lavoratore ultracinquantenne poco flessibile e piuttosto ostile al cambiamento, persino poco propenso a usare le lingue straniere.
Secondo i dati raccolti, intervistando i dirigenti del settore risorse umane e i lavoratori stessi, gli over 50 sarebbero un fattore critico nelle imprese e non un vantaggio. Dall’analisi dei responsabili del personale emerge che, sfatando un classico stereotipo, il lavoratore senior non è poi così fedele, altruista né disponibile a trasmettere il proprio know-how ai più giovani, né è troppo autonomo nel prendere decisioni.
Solo uno su due (55%), per esempio, riconosce al lavoratore senior la fedeltà e la disponibilità a supportare i colleghi più giovani (53%). Mentre nemmeno uno su due (47%) ne riconosce l’autonomia decisionale. E addirittura uno su tre (33%) pensa che lo specialista ultracinquantenne sia più efficace degli altri lavoratori.
“I giudizi raccolti presso i responsabili delle risorse umane – sottolinea Cinzia Toppan, responsabile area people di SCS, e curatrice della ricerca – che si traducono poi in concreti atteggiamenti e scelte organizzative da parte delle aziende, incidono negativamente anche sull’autopercezione che i lavoratori hanno di sé. In altri termini, le opinioni in azienda sulla loro affidabilità, sulla adattabilità e produttività influenzano il giudizio che i lavoratori senior danno di sé stessi, finendo con inibire la loro capacità e la loro proattività, il loro impegno nello sviluppare progetti innovativi e sfidanti.
Si ingenera, insomma, una sorta di circolo vizioso per il quale gli ultracinquantenni finiscono spesso con il sentirsi soltanto ‘sopportati’, con la conseguenza che spesso sono i primi a evitare qualsiasi coinvolgimento, fino a dedicare sempre meno tempo e importanza al lavoro. Al contrario, più la percezione da parte dei lavoratori è quella di sentirsi parte attiva e stimata più il loro impegno e la loro produttività aumentano, sentendosi più sicuri e motivati”.
c.p.