Anche quest’anno l’IMU non è dovuta per le abitazioni principali (vale a dire l’immobile in cui il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente) e le relative pertinenze, a eccezione delle unità immobiliari “di lusso”, censite nelle categorie A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici). Restano invece sempre soggette a imposta le così dette “seconde case” (indipendentemente dalle finalità per le quali sono detenute dal proprietario).
Anche in relazione al tributo per i servizi indivisibili (TASI), la legge di stabilità 2016, ha previsto l’esclusione dall’imposizione delle abitazioni principali (fino al 2015 tutte assoggettate alla TASI a prescindere dal loro classamento), con l’eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
In conclusione, dal 2016, sia l’IMU che la TASI:
– sono abolite per le abitazioni principali iscritte nelle categorie catastali diverse da quelle definite “di lusso” (es. A/2, A/3, A/4);
– continuano ad applicarsi per gli immobili classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
Alla luce di quanto detto, per gli immobili “di lusso” occorrerà calcolare le imposte da versare entro il prossimo 16 giugno e per effetto delle novità introdotte dalla legge di stabilità 2016, per le abitazioni principali “di lusso” (classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9):
– l’aliquota TASI può variare da 0 a 3,3‰;
– l’aliquota IMU può variare da 2 a 6‰;
– l’aliquota massima complessiva di TASI + IMU sarà del 6,8‰.
Verrebbe quindi da domandarsi se questa “discriminazione” tra immobili “lussuosi” ed immobili “civili”, per quanto foriera di gettito nelle casse dell’erario, non abbia effetti depressivi su un mercato immobiliare che, solo di recente, sta mostrando alcuni timidi segnali di ripresa. Non dimentichiamo, infatti, che le abitazioni “di lusso” da adibire a prima casa scontano (oltre ad IMU e TASI) anche una pesante imposizione in sede di acquisto, non potendosi applicare l’imposta di registro nella misura agevolata del 2% (né l’iva ridotta al 4%) bensì l’aliquota ordinaria pari al 9% del valore catastale dichiarato in atto (o l’iva al 10%/22%). Una “discriminazione” che sovente scoraggia diverse compravendite immobiliari da parte del ceto medio (motore economico del Paese).
Non è raro, per esempio, che coppie di mezza età con buone disponibilità finanziarie (magari frutto di oltre vent’anni di lavoro e di qualche eredità) si trovino in cerca di un’abitazione di maggior pregio e dimensioni. Orbene, non è altresì raro che questi soggetti scartino dalle proprie ricerche numerosi immobili (spesso di classamento A/1 o A/8) che, seppur appetibili in termini di prezzo, essendo considerati “lussuosi” diventerebbero, col tempo, un inutile “spreco” in termini d’imposizione fiscale. Un ulteriore ostacolo, quindi, alla ripresa del settore immobiliare.
Dott. Alessio Albanese
Dottore Commercialista – Revisore Legale