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Pensioni e divario di genere: verità o falso mito?

Pensioni e divario di genere: verità o falso mito?
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L'analisi del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nel Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano

Le donne ricevono pensioni di importo inferiore rispetto a quelle degli uomini. Ma è davvero così? No, secondo i dati del Casellario Centrale dei pensionati Inps, rielaborati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nel Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, che riduce quindi queste diffuse convinzioni a falsi miti da sfatare. Ne parla in modo molto approfondito l’analisi di Michaela Camilleri del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Pensioni e gender gap: parlano i numeri

Secondo l’analisi di Camilleri, dai dati contenuti nel rapporto, riferiti al 2020, emerge che le donne rappresentano il 51,8% dei pensionati e percepiscono il 43,8% dell’importo lordo complessivamente pagato per le pensioni (si tratta di 172.771 milioni di euro pagati alle donne contro i 134.919 milioni di euro corrisposti agli uomini). Considerando il numero di pensionate, il reddito pensionistico annuo delle donne arriva a 16.233 euro contro i 22.351 euro degli uomini. 

Veniamo ai motivi che si celano dietro questo divario. Le donne registrano un maggior numero di pensioni pro-capite, in media 1,51 prestazioni a testa, a fronte dell’1,32 degli uomini. Rappresentano il 58,6% dei titolari di due pensioni, il 68,6% dei titolari di tre pensioni e il 70,5% dei percettori di quattro e più trattamenti; inoltre, prevalgono tra i percettori di pensioni ai superstiti (87% del totale), nelle prestazioni prodotte da “contribuzione volontaria”, che normalmente sono di modesto importo a causa di livelli contributivi molto bassi, e nelle pensioni integrate al minimo (85,7% del totale). Per tutti questi motivi, la maggior parte delle pensionate beneficia dell’importo aggiuntivo, delle maggiorazioni sociali e della quattordicesima mensilità. Inoltre, occorre considerare che le pensioni di reversibilità (superstiti) dei pensionati di vecchiaia dei lavoratori autonomi o dipendenti con prestazioni integrate al minimo andranno a percepire al massimo il 60% della pensione diretta e quindi prestazioni molto basse.

Secondo Camilleri, affermare, dunque, in modo non analitico ma con elementare operazione di divisione, che le donne ricevono una prestazione di gran lunga minore rispetto agli uomini è sì corretto dal punto di vista formale ma non da quello sostanziale.

Anche in questo caso sarebbe utile una comparazione tra prestazioni di identica tipologia. Va poi considerato che questa situazione riflette l’andamento del mercato del lavoro italiano: nel nostro Paese sia i tassi di occupazione femminile (49% contro il 67,2% degli uomini nel 2020) – soprattutto al Sud (32,5% contro 56,3%) – sia i livelli di carriera, i livelli retributivi a parità di mansioni e le carriere più discontinue hanno visto e continuano a vedere purtroppo le donne sfavorite.

Occorre quindi migliorare oggi la condizione lavorativa femminile, anche tramite servizi all’infanzia che riducano la discontinuità del lavoro, per superare in futuro questo gap previdenziale tra i generi.

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